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Emilio Bibini

 

L'eclettico è un filosofo che, calpestando il pregiudizio, la tradizione, l'antichità, il consenso universale, l'autorità, insomma tutto ciò che soggioga l'animo del volgo, osa pensare con la propria testa, risalire ai princípi generali piú chiari, esaminarli, discuterli, astenendosi dall'ammettere alcunché senza la prova dell'esperienza e della ragione; che, dopo aver vagliato tutte le filosofie in modo spregiudicato e imparziale, osa farne una propria, privata e domestica; dico “una filosofia privata e domestica”, perché l'eclettico ambisce non tanto a essere il precettore quanto il discepolo del genere umano, a riformare non tanto gli altri quanto se stesso, non tanto a insegnare quanto a conoscere il vero. [...]

Denis Diderot, Encyclopédie, voce “Eclettismo”

 

 

La ricerca dell’ “Uomo completo” attraverso la visione umanistica, etica di “virtù e dignità” e dell’armonia tra mente e corpo  nel suo rapporto con la Natura lo ha portato ad affrontare esplorazioni teoriche nell’ambito filosofico, sociologico ed etnologico, con particolare riguardo alle scienze geografiche, alla storia locale e a percorrere parallelamente esplorazioni pratiche attraverso varie discipline: dall’alpinismo all’escursionismo, dalla speleologia al torrentismo, dal paracadutismo alla canoa fluviale di cui è stato istruttore.

 

Ha frequentato la facoltà di Architettura con specifici approfondimenti inerenti l’architettura spontanea e popolare, l’autocostruzione, l’archeologia industriale e la museografia.

 

Viaggiatore e conoscitore delle realtà mediorientale, africana mediterranea e sub-sahariana, delle popolazioni berbere e Tuareg, ha collaborato con l’ong nigerina Hed-Tamat.e con l'italo-francese Atlik.

 

Collaborazione ventennale con il Centro Studi Libertari la casa editrice Elèutherae e  A rivista anarchica , per la "naturale" sensibilità verso le tematiche libertarie e anarchiche.

 

Ecologista, antispecista e vegano è attivista in alcune organizzazioni;  mentre per la salute mentale è facilitatore e amministratore di sostegno.

 

Coautore nel libro "L'errore antropocentrico" (Mimesis, 2019) con lo scritto "Caccia,:nuovi panorami, nuove interconnessioni, nuove stragi"

http://mimesisedizioni.it/libri/l-errore-antropocentrico.html

 

E' consulente per la comunicazione per organizzazioni del Terzo Settore: "CCM Comitato Collaborazione Medica" (ong di cooperazione internazionale), e Fondazione Futurae

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Il Crocus,

precoce simbolo duale

 

Iena Crocus, Pietro Andrea Mattioli, 1554

 

Nel marchio di Psiche & Natura compare il Crocus Vernus “Zafferano Maggiore”, pianta erbacea perenne, appartenente alla famiglia delle Iridaceae, diffusa nel nostro Appennino nei luoghi erbosi e boschivi.

Il nome del generico Crocus deriva dal greco Kròkos, che significa filo e si riferisce ai lunghi stigmi ben visibili nella specie più conosciuta e coltivata di questo genere, il Crocus sativus. Altri testi traducono krokos con zafferano dall’arabo safran. Mentre il nome specifico vernus fa riferimento alla sua precocissima fioritura in febbraio.

Il nome scientifico di questa pianta è stato definito dal biologo e scrittore svedese Carl von Linné  noto come Linneo (1707 –1778) insieme al botanico inglese John Hill (1716 – 1775) nel 1765.

Il termine kròke fu dato da Teofrasto per indicare il filamento e i lunghi stimmi che simboleggiavano un legame d'amore.

Nella mitologia greca Kròkos era un giovane innamorato della ninfa Smilax: un amore destinato a finire perchè lui era mortale. Gli dei impietositi decisero di trasformare Smilax in Salsapariglia (Smilax aspera) e Kròkos in un bel fiore. In ricordo di tale amore impossibile il fiore rappresentò il "desiderio d'amore" e venne usato per adornare le tombe dei morti per amore.

Fiore dunque funerario, secondo i riti greci e romani, ma al tempo stesso nuziale, lo stesso Omero lo ricorda tra i fiori che ricoprivano il talamo di Giunone e Giove. Il letto nuziale, dice la leggenda, veniva cosparso di corolle di croco quale augurio di felicità per gli sposi e sotto i due cuscini venivano depositati dei filamenti di zafferano.

Anche nella civiltà minoica era un fiore sacro, infatti a Cnosso e Festo compare come motivo ornamentale.

Le sacerdotesse bambine del tempio di Artemide nell’antica città attica  Brauron indossavano vesti tinte con la “crocina”, tintura estratta dal fiore.

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